Chiesa di San Sebastiano Martire (o Sant’Antonio Abate)

I centri abitati dell’isola d’Ischia sorgono prevalentemente attorno a una chiesa e una piazza. A Forio, questo schema urbanistico è assai ricorrente: basti pensare alla chiesa di San Vito Martire al centro dell’omonimo quartiere; o a quella di San Michele Arcangelo nel popoloso rione di Monterone. Quando però la conformazione stradale non ne consente la riproducibilità, la preminenza degli edifici religiosi viene ribadita in altezza.

È il caso, per esempio, della chiesa di San Sebastiano, nel vicolo alle spalle della celebre fontana di Piazza Matteotti. Una chiesa di cui, peraltro, non è chiaro l’anno di fondazione. Secondo lo storico locale Giuseppe D’Ascia (1822 – 1889) essa risalirebbe al XIV secolo, mentre secondo altri studi condotti in anni più recenti dal prof. Agostino Di Lustro, la costruzione andrebbe collocata agli inizi del ‘700.

E non è finita, perché a dispetto dell’intitolazione a San Sebastiano, l’edificio è più conosciuto come chiesa di Sant’Antonio Abate. In questo caso, però, non c’è alcun arcano da svelare. Il motivo è che a Forio c’era un’altra chiesa intitolata a San Sebastiano e che, a seguito della sua demolizione, nel 1906, venne decretato il trasferimento del titolo parrocchiale alla chiesa di Sant’Antonio Abate. Da qui la confusione sul nome.

Confusione, però, che fornisce l’occasione per far luce su una storia singolare svoltasi nell’originaria chiesa di San Sebastiano, ubicata all’angolo tra via Cava delle Pezze (oggi via mons. Schioppa) e via Giovanni Castellaccio. Questa chiesa, infatti, nel 1656 divenne il cimitero degli “appestati” di Forio, vale a dire i morti a causa della terribile epidemia di peste che quell’anno colpì violentemente il Regno di Napoli.

L’incarico di trasportare i cadaveri spettava a una tale “Tolla”, probabile diminutivo di Vittoria. Una donna, dunque, che dopo aver portato i morti nella chiesa di San Sebastiano “alle Pezze” era solita privarli di collane, anelli e bracciali che di volta in volta aggiungeva a un laccio appeso al collo. Una macabra collezione di preziosi che però contribuiva a conferirle un’aura sinistra di immortalità, nonché di evidente ribellione all’autorità maschile.

Lo sfoggio di una così vistosa collana divenne presto sinonimo di costumi eccessivi, al punto che i foriani cominciarono a definire appunto “Tolla” qualunque donna indossasse abiti, collane e bracciali troppo vistosi. Quanto alla presunta immortalità della protagonista, alla fine, immancabilmente, finì col soccombere anche lei alla terribile malattia, sia pure solo dopo il terzo contagio.

Tornando alla chiesa di San Sebastiano, o Sant’Antonio Abate, essa presenta una facciata color porpora (in precedenza era rosa pastello) divisa in due parti. In basso il portale d’ingresso, rialzato rispetto al livello della strada; in alto una finestra sormontata, a sua volta, da un frontone triangolare. Degna di nota, all’interno, la statua della Madonna dell’Addolorata custodita in una teca a muro nella parte sinistra della navata.

Insomma, le chiese sono una parte importante del “racconto” di Forio. Conoscerle, significa approfondire il “genius loci” del paese e dell’intera isola. Un’isola dove le tracce del “sacro” sono dappertutto e non sono limitate alle sole chiese. Per accorgesene, è sufficiente volgere lo sguardo all’esterno di San Sebastiano. Proprio di fronte c’è una grande edicola votiva che sta lì a ribadire la profonda devozione dei foriani i quali, da sempre, utilizzano le edicole votive anche come una sorta di stradario informale, complementare alla toponomastica ufficiale.

 

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